Il giudice di carta configura un tropo, un traslato, una figura retorica classica, la metonimia, ricavandosi il contenuto dal contenente, con uno spostamento dal piano della espressione letterale a quello concettuale.
La letteratura non è solo informativa culturale, ma costituisce la instancabile trasformazione di tutta la vita in scrittura: lo scrivere coincide con il vivere; è la parabola che rivela e spiega una verità storica, l’esegesi della esistenza, in una compenetrazione tra arte e vita, immaginazione e realtà, verità storica e verità artistica.
Il testo contiene una antologia, ordinata secondo espressioni chiave che anticipano i caratteri individualizzanti dei giudici: il giudice saggio, il giudice calunniatore, il giudice passionale, il giudice torturatore, il giudice rivoluzionario, il giudice giustiziere, il giudice piccolo, il giudice coraggioso, il giudice apotropaico, il giudice corrotto, il giudice letterato, il giudice evanescente, il giudice artificiale, il giudice speciale, il giudice pensionato.
I giudici e l’arte di giudicare, coincidendo il “bello” con il “giusto”, in un non catalogabile intreccio di vita e passione, esistendo i Codici delle leggi ma non i Codici dell’arte, sono stati riversati in riproduzioni, sacre e laiche, storiche, letterarie, sceniche, sulla carta scritta, in maniera più “vera” delle storie reali.